Sono passati 7 anni e mezzo da quando Anna Politkovskaja è stata ammazzata nell’ascensore di casa sua, nel centro di Mosca.
7 anni di depistaggi, di ridicole conferenze stampa di uomini vicini a Putin, di indagini azzoppate, di giudici che scappavano.
7 anni dopo arrivano le prime condanne per l’assassinio della nostra Anna.
Un gruppo di ceceni le avrebbe fatto fuoco cinque volte: uno dei tre fratelli Makhmudov giudicato esecutore materiale, gli altri suoi complici. Questi tre sarebbero stati aiutati a vario titolo da uomini della sicurezza russa (immaginiamo nel tempo libero, non certo in orario di lavoro, altrimenti qualche superiore ne avrebbe dovuto rispondere).
Bene, bravi. I giudici popolari hanno emesso le condanne in base alle prove fornite. Ora il giudice dovrà stabilire l’entità della pena.
Ma perché tre ceceni e tre russi (un altro poliziotto era stato condannato – in un processo parallelo – a 11 anni di galera per aver pedinato e fornito la pistola per uccidere la giornalista) hanno assassinato Anna? Cosa o chi li ha spinti? O meglio chi glielo ha ordinato? Chi ha pagato il loro stipendio per quell’assassinio? Chi ha fornito i rubli per la logistica?
Domande che resteranno senza risposta fino a quando non verranno aperti gli archivi di questa (terribile) stagione putiniana.
È per questo che Annaviva se da un lato saluta questa tardiva giustizia per Anna, dall’altro domanda a gran voce che – prima o poi – qualcuno si prenda la briga di scoprire chi è stato il mandante di quel vile assassinio.
Solo quando alla sbarra finirà chi ha ordinato questo e altri omicidi di giornalisti (che ne è stata della patetica caccia ai killer di Natasha Estemirova che avevate detto di aver individuato, caro presidente Medvedev??) Annaviva potrà finalmente gioire.
Giustizia non è ancora fatta, amici e compagni che ci seguite da sette anni.
Non molliamo ora. Non fermiamoci ad ascoltare le sirene. La strada è ancora lunga.
Ciao Anna. Siamo sempre qui. Non ti abbiamo dimenticato. E non dimentichiamo nemmeno nei mesi in cui sui giornali non si parla di te.
L’ha ribloggato su Andrea Riscassi.