Riportiamo la traduzione di un articolo sulla reazione degli ungheresi al muro contro l’immigrazione:
Se vuoi sentire parlar bene degli ungheresi, vai alla stazione ferroviaria Keleti di Budapest
di Földes András

Nei dintorni della stazione Keleti di Budapest dominano situazioni stupefacenti. Centinaia e centinaia di profughi s’affollano nei sottopassaggi e nelle piazze vicine della stazione. Ci sono intere famiglie a vivere lì ogni giorno, i bambini corrono sù e giù tra la gente che va alla metropolitana, molti stanno mangiando sdraiati per la terra e altri dormono in più file lungo le pareti.
È ormai evidente che l’Ungheria e certo, tutta l’Europa deve affrontare una crisi finora inaudita. L’ultima volta forse durante la seconda guerra mondiale. Vero è che allora c’era la guerra che spiega un po’ meglio una situazione del genere.
Al posto dell’Apocalisse
di guerre ce ne sono anche adesso. La maggioranza dei profughi provviene dall’Afghanistan: ció viene affermato anche dai dati statistici.
Questa gente ha perso il tetto a causa della guerra, ugualmente a quanto successo a moltissimi europei settant’anni fa. La differenza è che grazie all’effetto della globalizzazione loro riescono a rintanarsi non solo per le strade della propria patria ma per esempio anche nelle piazze pubbliche di Budapest.
Ma, sebbene intorno alla stazione sia critica la situazione, eppure, manca l’atmosfera apocalittica.
Il flusso dei migranti venne accelerato effettivamente da qualche settimana, in seguito alla notizia che l’Ungheria avrebbe costruito un muro sulla frontiera serbo-magiara. Quelli che erano già sulla strada tra l’Asia e l’Unione Europea hanno iniziato ad andare più forte per non dover fare una strada più lunga. Ma non solo i profughi hanno accelerato le loro mosse, il governo della Macedonia ha deciso di trasportare gratuitamente i migranti da un confine all’altro del paese, per evitare che a causa di un cancello sciocco qualcuno rimanesse bloccato in Macedonia.
Con la mentalità europea, essendo abitante di un Paese sicuro, è difficile capire il progetto delle masse sdraiate intorno alla stazione. “Vado in Germania”, rispondono quasi tutti. Ma per concretizzare una destinazione, un fine, questo solo alcuni riescono a dire. La spontaneitá, la disinformazione, saranno forse anche il segno della loro situazione disperata. Hanno camminato per mezzo mondo non a seguito di una lunga pianificazione ma dopo l’esplosione di una bomba o la fucilazione di un loro familiare hanno deciso di non aspettare che toccasse a loro.
Gli ungheresi? È brava gente.
Ci sono voluti ben due giorni per abituarmi alla situazione della stazione Keleti. E allora ho subito uno shock ulteriore.
Come sono gli ungheresi? “È brava gente”, mi hanno risposto molti. “Neanche i poliziotti ci fanno male, ci lasciano dormire”, mi risponde un capo famiglia afgano, seduto sulla coperta.
Mi sembrava bizzarro che i profughi, in questa loro situazione non si lamentassero, anzí, lodassero gli ungheresi. Tutto ció è diventato piú comprensibile quando mi raccontavano le loro vicissitudini in altri Paesi.
“Lasciano in pace i profughi?”, ho domandato a due spazzastrade che conoscono di più il luogo.
“Non si sono stati problemi per il momento. Ma qualche volta sono venuti dei skinhead”.
“Mi fanno pena, guarda, ci sono famiglie, bambini piccoli”.
L’immagine nazionale positiva è migliorata ancora di più quando ho scoperto i distributori di cibo. La folla, due volte ogni giorno, si sistema in due file per ricevere panini o qualche pietanza calda. A capo della coda sta una compagnia strana: una figura tatuata che sembrava un lottatore di “sumo” che distribuisce i pacchetti di cibo mentre dietro di lui una ragazza, di peso simile, una donna che sembra una maestra, un signore che assomiglia a un professore di sociologia e alcune studentesse che sistemano i cestini. Non era lo Stato o qualche Chiesa a delegare questo compito a una compagnia così varia. In mezzo alla crisi non ho visto in nessun angolo i rappresentati dello Stato Ungherese.
Si sono uniti i volontari per aiutare centinaia di gente, senza alcuna struttura istituzionale, con i propri soldi, nel loro tempo libero.
Ma non sono solo loro a trasformare la visione, formatasi in base alla propaganda governativa. Ci ho trovato aiutanti ancora più civili: ho visto una donna distribuire alcuni panini e poi continuare la sua strada verso la metropolitana. Un signore portava indumenti in una borsa di plastica. Ma c’era chi dava matite a colori ai bambini.
Ho visto tutta un serie di cose delle quali nella famosa “consultazione nazionale” non si sprecava neanche una parola.