Trasmettiamo uno degli ultimi articoli pubblicati da www.infobielorussia.org sulla situazione della popolazione della Bielorussia di Lukashenko:
Questa volta la mia conversazione è con una persona della minoranza polacca in Bielorussia. Devo sforzarmi molto per farla parlare, è visibilmente preoccupata. Oltre alle parole che ho riportato mi racconta anche di occasioni in cui ha parlato con qualcuno e poi ha scoperto essere un agente del KGB. Al di là del fatto che lo sia stato davvero o meno va comunque registrata la realtà di un popolo che vive nel sospetto e nella paura, esattamente come ai tempi dei regimi comunisti, quando ogni interlocutore poteva essere un agente della polizia segreta. Proprio per questo tutti gli elementi identificativi della mia interlocutrice sono stati omessi con particolare cura. All’inizio lei mi spiega che chi ha radici polacche può richiedere la Karta Polaka, documento di cui avevo già parlato nell’articolo sull’emigrazione bielorussa in Europa.
Tu hai la Karta Polaka?
Si, ce l’ho. Ma dal momento che ho ricevuto la Karta Polaka nessuna impresa statale qui in Bielorussia mi assume più. E’ una regola non scritta: è vietato assumere chi ha la Karta Polaka e chi studia in Polonia. Possiamo lavorare solo nelle imprese private.
Che sono poche, visto che in Bielorussia il 70% dei posti di lavoro sono statali…
Primo, le imprese private sono poche, secondo non tutte le imprese private assumono volentieri chi ha la Karta Polaka.
Sapevo che viene privata del lavoro la gente che si impegna politicamente, ma non avevo mai sentito che anche chi ha la Karta Polaka…
Nelle zone dove la minoranza polacca è forte, come a Brest o a Grodno, questo problema non c’è, perché se facessero così mancherebbe la gente da far lavorare, ma nel resto della Bielorussia ci sono poche persone che hanno la Karta Polaka, e così chi ce l’ha viene discriminato.
Questo è un altro degli aspetti in cui si vede che è una dittatura e non un Paese normale. Appena pronuncio la parola “dittatura” la mia interlocutrice si ammutolisce, fa una pausa, e con una scusa si allontana, per ritornare poco dopo. Si vede che prende tempo per decidere se continuare la conversazione o meno. Da una parte vuole raccontare, dall’altra teme di esporsi troppo. Quando ritorna provo a rilassare l’atmosfera, poi riapro il tema “dittatura” e lei riprende:
Se qualcuno viene a sapere che parlo te di queste cose, e che ti dico che è una dittatura, rischio due anni, due anni e mezzo di prigione.
Scherzi?
No, dico sul serio. Qui in Bielorussia dopo le ultime elezioni non potevamo neanche battere le mani in pubblico.
Parli delle manifestazioni silenziose, l’estate 2011?
Si. E ti dico che le mie telefonate sono controllate. Una volta ho parlato al telefono con mia cugina, che mi ha detto che voleva ricevere la Karta Polaka, mi ha chiesto di aiutarla. Poco dopo aveva un esame all’università e il suo professore all’esame invece di farle domande sulla materia, le ha chiesto:
– Il tuo cognome è [omissis], pensi di essere polacca?
– Si.
– E vuoi ricevere la Karta Polaka?
– Questi sono affari miei.
– Devi sapere che in Bielorussia non ci sono mai stati polacchi. Non sei polacca, il tuo cognome è russo, devi cercare le tue radici da un’altra parte.
– Non è vero. I miei nonni sono polacchi.
Hanno discusso a lungo, alla fine lui le ha detto:
– Questa volta l’esame è superato, ma se farai la Karta Polaka, tu il prossimo anno l’esame con me non lo passi.
Lei alla fine ha deciso di non fare la Karta Polaka.
Quando io l’avevo appena presa il KGB ha convocato un’altra mia cugina, che lavora come [omissis – lavoro unicamente statale] e le hanno detto: “Se fai la Karta Polaka come tua cugina, allora te ne devi andare in Polonia, perché qui non ci sarà più lavoro per te”.
I parenti di quelli che fanno la Karta Polaka vengono dissuasi dal richiederla a loro volta?
Si. Quando io dicevo di voler fare la Karta Polaka, ma non l’avevo ancora ricevuta, [omissis – membro della famiglia] è stato convocato dal direttore dell’azienda dove lavora. Nella stanza vi erano anche altri tre uomini. Due facevano domande e il terzo annotava tutto. Gli hanno chiesto: “Tu sei polacco, una piccola minoranza in Bielorussia. Ti senti qui male? Ti senti trattato diversamente dagli altri?” e tante altre domande. Lui ha dovuto rispondere a tutte le domande, ha dovuto firmare il verbale della conversazione, e appena è tornato a casa mi ha telefonato e mi ha detto: “Se ti fai dare la Karta Polaka non farti vedere più a casa mia!”
E cosa pensa la gente che conosci? Sono a favore del regime, sono contrari?
Tra la gente che conosco sono pochissimi quelli che protestano. Non so cosa dire, perché la maggior parte della gente nasconde quello che pensa. Ognuno ha paura, non sa chi è la persona che ti sta davanti, con cui stai parlando…
Chi è allora che va alle manifestazioni?
Soprattutto i giovani.
E la gente più anziana?
La gente più anziana lo sostiene, a mia madre ad esempio gli piace Lukashenko.
E in campagna?
La gente in campagna vive molto male e allora spesso parla male di lui. Ma prima delle elezioni lui dà molte esenzioni, aumenta gli stipendi, e così tutti dicono che va bene.
E cosa dovrebbe succedere, per cambiare la situazione?
Non so. Penso che l’opposizione non fa niente di buono. Per esempio non c’è un leader dell’opposizione per il quale vorrei votare.
La conversazione verso la conclusione passa agli aspetti visibili dell’economia centralizzata del regime, la ridottissima presenza del piccolo commercio, la quasi completa assenza di chioschetti e bancarelle così presenti in tanti paesi del blocco ex-comunista…
Prima del 1994 qui c’era tutto, tanti chioschi, anche nei sottopassaggi. Era interessante passeggiare in città, guardare, comprare qualcosa. Ma quando è arrivato il nuovo presidente tutto è dovuto essere statale. I piccoli chioschi sono stati chiusi. E adesso un po’ alla volta chiudono anche i mercati. Li vogliono chiudere perché vi operano molti piccoli imprenditori, e ogni persona che gestisce la sua attività è una persona che non dipende dallo stato, e che pensa liberamente.
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