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La bellezza di Anna Politkovskaja

Quando ho letto il primo libro di Anna Politkovskaja, dato che non vi compariva nessuna foto dell’autrice, mi ero chiesta subito come potesse essere il volto di quella donna così straordinaria, così coraggiosa. E l’avevo immaginata forte, robusta fisicamente, forse perché pensavo che solo grazie a una grande resistenza fisica potesse riuscire a sopportare quei viaggi faticosissimi, quella continua tensione fisica e psicologica, quelle infinite terribili storie di cui veniva a conoscenza.
Mi ero sbagliata, invece.
Non ricordo quando vidi la prima volta una foto di Anna, ma certo era totalmente diversa dall’immagine che mi ero creata di lei. Una donna delicata, quasi esile, dal viso magro e serio. Gli occhiali, una semplice camicia bianca, un trucco leggero e dei sottili orecchini dorati come unica concessione alla femminilità. Avrebbe potuto assomigliare ad una studentessa, non fosse stato per i capelli bianchi e grigi che le incorniciavano il viso. E bella, di una bellezza elegante e discreta, con un’espressione limpida e determinatissima negli occhi castani, che raccontava tutta la forza del suo carattere.
Proprio della bellezza di Anna hanno scritto, dopo la sua morte, i colleghi della Novaja Gazeta: “Era bella, e col passare del tempo diventava sempre più bella, perché il volto lo riceviamo da Dio come materiale grezzo, ma poi ce lo scolpiamo da soli. In età adulta, dal viso comincia a trasparire l’anima. E lei aveva un’anima bella.”
Sì, quella di Anna non era solo una bellezza esteriore. Era molto di più. Una bellezza interiore , che il suo volto lasciava trasparire. Mi viene in mente pensando a lei una frase che Pietro Citati scrive a proposito di Simone Weil: “Se guardiamo il viso di Simone Weil, ci vengono alla memoria visi di re, santi, vescovi, regine, scrittori…uno di quei visi affilati, smagriti, divorati dalla violenza del fuoco interiore, splendidi di durezza e di chiarezza, disperati di intelligenza, furenti di volontà, sovrabbondanti di amore taciuto…”
Sembra il ritratto del volto di Anna. Perché è vero che dal volto traspare l’anima. E in Anna c’era uno spirito forte, e al contempo ricco di sensibilità, e di amore. La forza unita alla tenerezza. La combinazione perfetta. Due aspetti che potrebbero sembrare a prima vista così contrastanti, e invece sono così profondamente legati. E colpisce che la resistenza alla brutalità, alla violenza di Putin, e dei soldati russi, si sia incarnata con tale intensità non in un uomo, ma in una donna, forte proprio per il suo essere del tutto estranea a logiche di potere e sopraffazione, guidata da principi completamente opposti, di amore e compassione. “Più delicato di un fiore in gentilezza d’animo, più forte del tuono nel difendere i propri principi”, come dice la definizione vedica dell’illuminato. Di questa frase, il viso di Anna è l’espressione, viva e palpabile.
Come i volti di Simone Weil, appunto, di Anna Frank, di Sophie Scholl e dei ragazzi della Rosa Bianca, che nella Germania nazista scrissero dei volantini contro Hitler, e per questo vennero condannati a morte. Anche loro dai lineamenti delicati, e dallo sguardo coraggioso e consapevole. Anche loro ”forti nello spirito, teneri di cuore”, determinati a resistere al terrore, a lottare fino all’ultimo per la libertà, a seguire la propria coscienza, a credere che un altro mondo potesse esistere. Anche loro, come Anna, armati solo della forza della loro scrittura, e delle loro parole. Parole di verità, parole di vita, che hanno saputo vincere l’orrore della prigionia, della guerra, dell’oppressione, per giungere a noi, trasmettendoci tutta la bellezza delle anime che le hanno scritte.

Irene Mossa

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#PussyRiot in carcere

Riportiamo un’interessante commento sulla band femminile Pussy Riot, in carcere con la condanna di blasfemia, scritto dal giornalista Andrea Riscassi:

“Forse temevano che mettendole nella stessa colonia penale potessero improvvisare un altro concerto. Per attaccare Putin, il suo amico Kirill (patriarca della chiesa autocefala russa) e magari l’infame sistema carcerario della Federazione russa. Ereditato pari pari da quello sovietico. E mai rinnovato. Ma d’altronde il paese è guidato da uno che nella precedente vita aveva fatto carte false per andare a fare la spia del Kgb.

E così Masha Alekhina e Nadia Tolonnikova, le due Pussy Riot condannate a due anni di lavori forzati per 45 secondi di concerto anti-putiniano in chiesa, sono state distribuite nel vasto territorio della Russia.
Masha è finita a Perm, in Siberia, uno dei posti divenuti tristemente noti per le repressioni staliniane. Il gulag Perm-36 è stato chiuso (e l’ong Memorial lo ha trasformato in un museo della – scarsa – memoria russa) ma la colonia penale – milletrecento chilometri distante da Mosca – è ancora attiva.
Nadia, la più vivace del gruppo, è stata spedita in Mordovia, una delle carceri più dure della Federazione, dove da anni vengono denunciate violenze sessuali contro le detenute. Dista solo 440 chilometri da Mosca, dove vive la famiglia.
Entrambe sono madri di bambini piccoli ma la tirannide putiniana colpisce così dissidenti e oppositori.

È lo stesso trattamento riservato all’ex oligarca Khodorkovskij. Lo spiegarono i suoi genitori agli attivisti di Annaviva andati a trovarli a marzo: l’imprenditore inviso al regime – trattato alla stregua di un terrorista – ha diritto a una telefonata di 15 minuti, ogni sabato, per parlare con tutta la famiglia; i parenti possono andarlo a trovare una volta ogni due mesi. Ora Khodorkovskij non dista più 6000 chilometri dalla capitale (dove vivono moglie, figli e genitori) come a inizio detenzione. Ora per andare a trovare gli anziani genitori, i figli e la moglie impiegano solo un giorno e mezzo di viaggio…
Sarà lo stesso trattamento sovietico cui saranno sottoposte le due ragazze.

D’altronde, come ricorda il collega e amico Grigorij Pas’ko (autore dell’illuminante volume di Bollati Boringhieri “Come sopravvivere alle prigioni in Russia”) i russi, vittime dell’arbitrio di un regime che i più – obnubilati dalla tv – persino apprezzano, “si dividono in due categorie: chi sta in galera e chi si prepara ad andarci”. E Grigorij dà questo consiglio che, a malincuore, giro alle Pussy Riot ancora libere e agli oppositori russi (che ora hanno eletto, democraticamente, un consiglio di 45 rappresentanti) : “È meglio prepararsi all’ipotesi peggiore: il massimo periodo di isolamento e il massimo della pena nel campo di lavoro. Certo, all’inizio è un’idea difficile da accettare. Ti pesano i ricordi di una vita relativamente felice da libero, della moglie, dei figli (qui non si sa cosa è meglio, se averli oppure non averli – sei padrone di te stesso, e quindi non devi spaccarti la testa per la famiglia). Quindi, per non sentire questo peso, ficcati nella zucca una volta per sempre che ora non hai più niente e nessuno: né una casa, né una famiglia, né una macchina, né un lavoro, né onorificenze… Non sei nessuno. E non hai neppure un’identità. Carcerato. Una cosa senza nome. Una bestia”.

Le bestie, per quanto mi riguarda sono quelle che hanno condannato e vessano Mikhail, Masha e Nadia”.

In Germania si tornerà a protestare contro l’ingiusta incarcerazione delle Pussy Riot il 3 novembre con flash mob a Cologna e Bonn.