L’altra sera si è tenuta la conferenza UCRAINA, RUSSIA E CRIMEA: E ADESSO CHE SUCCEDE? presso l’Associazione Italia-Russia a Milano. Sono intervenuti Aldo Ferrari, docente di Storia del Caucaso all’Università Ca’ Foscari; Eliseo Bertolasi, dottorando di ricerca in Antropologia culturale all’Università di Milano e Alessandro Vitale docente di Analisi della Politica Estera e di Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Milano.
Si è parlato dell’irrisolta questione ucraina, dei rischi e dei problemi che sta portando. Una tematica molto calda che ha scaldato anche molti presenti tra il pubblico, che al momento delle domande finali hanno dibattuto con i relatori in modo molto accalorato. Sala piena. Superfluo dire che è stato interessantissimo.
Siamo testimoni di eventi così delicati e indecifrabili che ho voluto prendere nota della testimonianza inedita presentata e dei discorsi fatti. Quindi per chi vuole sotto trova un approfondimento.
Intervento di Aldo Ferrari
Stiamo assistendo ad una forte polarizzazione delle posizioni, la tendenza è quella di affrontare la questione con un atteggiamento non solo appassionato, ma tifoso, magari lasciandosi trascinare da idiosincrasie e uscite fuori luogo. Questo è molto grave.
Cercheremo di dare un quadro non completo di una situazione estremamente difficile da interpretare e giudicare. Non pretendiamo di dare una risposta, che non credo esista, ma vorremmo fornire elementi di approfondimento. Quello che leggiamo sui media spesso è molto condizionato da pregiudizi e appiattimento.
Intervento di Eliseo Bertolasi
Ha raccolto video e interviste della sua testimonianza diretta. E’ stato sul posto 3 volte per seguire la vicenda. A dicembre, febbraio e aprile.
Ha mostrato e descritto un primo filmato: una piazza animata da protesta spontanea e dal desiderio di vedere il proprio paese avvicinarsi alla Unione Europea e in cui si percepisce il sentimento anti-Yanukovich. Alla domanda: “Perché volete la UE?” si sentiva rispondere che ciò avrebbe significato lavoro, vacanze, stipendi più alti. In Maidan molti manifestanti dalle zone occidentali vivevano ormai fissi lì.
Si vede nel video anche una manifestazione pro-Yanukovich (qui si parlava in russo nei comizi, mentre là in ucraino) con molta meno gente, perché dal Donbas si spostano meno dal lavoro.
Eliseo Bertolasi è tornato in febbraio, proprio nella settimana in cui poi è caduto Yanukovich.
Tornato in Maidan, trova barricate costruite dai manifestanti che, a distanza di due mesi, si presentano come milizianti: migliaia di persone che non litigano tra loro e che sono estremamente organizzate. In Maidan si poteva vivere, veniva costantemente distribuito del cibo e ogni altro bene.
Si vede nel video la polizia che sfonda le barricate arrivando verso la piazza. I manifestanti, per fermare l’attacco, iniziano a costruire un fronte infuocato e così inizia la battaglia notturna. Le immagini sono inquietanti: preti che durante la notte supportano i presenti con i loro canti e il fuoco in piena notte, bombe molotov e granate. Sembra un inferno. Non c’erano sul palco i leader ma i preti. C’era persino Radio Maria ucraina.
Da notare è che in piazza non è mai stato fatto un discorso analitico, che considerasse pro e contro dell’ingresso in Europa, non si è mai affrontata la questione in termini pragmatici, ma solo in termini di nazionalismo e di sentimento. Questa incongruenza è molto evidente.
I combattimenti durano una giornata e mezza. La polizia non può fare la carica. Il selciato è del tutto sollevato per ricavarne pietre. Si vede che tra i manifestanti c’erano compiti e direttive ben precise per mantenere solide le barricate. Vengono bruciati copertoni e l’odore è insopportabile. Si improvvisano catapulte.
Il testimone ha visto poche armi da fuoco, solo qualche pistola. In fondo si vedono i riflettori della polizia e una viva linea di fuoco che attraversa tutta Maidan.
Centinaia di feriti vengono soccorsi, si erano organizzati anche a livello di pronto intervento.
La Piazza appare devastata, le preghiere continuano. Il giorno seguente la polizia si ritira e la barricata viene ricostruita.
I cecchini iniziano a sparare sulla folla, ma anche sulla polizia, senza distinzione. La Piazza è di nuovo in mano ai manifestanti. Poi i funerali di chi è caduto sotto i cecchini.
Viaggio di aprile a Donbas. La zona è blindata, presa dai manifestanti in protesta, nata dagli atteggiamenti del nuovo governo di Kiev verso la popolazione dell’est ucraina, centinaia di chilometri da Kharkov fino ad Odessa, con Lugansk, Donetsk, Mariuopol. I civili supportano i manifestanti, le persone gridano “Rossia Rossia” e vogliono l’unità con la Russia, perché non si percepiscono ucraini: sarebbe difficile portare avanti la protesta se fosse solo opera di facinorosi.
Quando il nuovo governo ha manifestato la sua russofobia (vietando il russo, chiudendo i confini regionali senza considerare che molti hanno parenti a Ovest) le persone sono state toccate nel profondo, perciò non si astengono dalla protesta.
Questa zona è il polmone dell’Ucraina, e l’ingresso in Europa sarebbe per loro un grande problema, essendo elevate qui le esportazioni verso la Russia.
Qui si parla di terroristi, ma loro si definiscono difensori che vogliono solo l’autonomia e poter parlare russo con un rapporto di fraterna amicizia con la Russia.
La zona intorno a Sloviansk è in mano alle forze di Kiev, con coprifuoco serale. Gli attacchi avvengono solo di notte quando non ci sono civili in mezzo ai difensori, rappresentati dalla Samo-oborona (circa 250 persone) cioè giovanissimi e anziani; e poi dalla parte più strutturata, un battaglione che arriva dalla Crimea. Il testimone non ha visto russi. I combattimenti non avvengono in città ma nei posti di blocco.
A Kromatorsk il testimone rimane bloccato. La mattina di sabato 3 maggio giungono i reparti speciali ucraini. In città ci si aspetta un attacco dalle forze di Kiev quindi iniziano a far ritirare la gente in casa, ma tutti invece escono in piazza e si uniscono alle truppe per difendere la città, perciò l’attacco è sospeso.
Un altro dettaglio è la grossa componente ideologica: dicono di non volere i fascisti. Le posizioni sono talmente radicalizzate che non si riesce a trovare un dialogo. La componente nazionalista è molto forte, si cantano canzoni patriottiche e si vede spesso la bandiera della repubblica autonoma del Donbas: come quella russa, ma la terza striscia è nera come il carbone, a simboleggiare la loro maggior ricchezza.
Si sente dire: “i nostri nonni hanno cacciato i fascisti fino a Berlino noi riusciremo a cacciarli dal Donbas!”.
Insieme alle barricate che bloccano la città ci sono 3 blindati.
Eliseo Bertolasi alla fine è riuscito a liberarsi, era l’unico giornalista italiano sul posto.
Intervento di Alessandro Vitale
Ha parlato dei problemi di integrazione e disgregazione. Ha ripetuto che nessuno ha la verità in tasca, nemmeno gli analisti con i più seri strumenti.
Vediamo ora l’ombra lunga dell’impero che mostra e mostrerà ancora a lungo i suoi strascichi.
La tendenza principale è quella imperialistica. Da parte della Russia c’è forte pressione di matrice staliniana: evitare che le regioni siano indipendenti e l’Ucraina non è mai stata accettata come nazione distaccata. Dal punto di vista economico, il Paese è reso in miseria e di questo è responsabile anche l’Europa che l’ha esclusa irrigidendo le dogane.
Non c’è la possibilità di esportare in Europa e la stagnazione economica porta a quella politica.
Questo irrigidimento progressivo e il protezionismo economico hanno portato le minoranze interne a vedere nella Russia (che pure non ha un sistema economico funzionante) una via di salvezza.
Come sono state realizzate queste dipendenze? L’Ucraina fin dall’inizio non è stata ridisegnata in modo confederale creando entità pluri-etniche autogovernate (molti progetti lo proponevano e prevedevano che altrimenti si sarebbe arrivati al conflitto) quindi è naturale che si finisca per rivendicare con rigidità le proprie separazioni interne. L’Ucraina non ha quell’unità e omogeneità che servirebbero per tenere in piedi una nazione così come è stata creata dopo la caduta dell’URSS.
Nei sistemi nati dalle rovine degli imperi purtroppo non si tiene mai conto della diversità. Esiste una varietà straordinaria di possibilità moderne per affrontare situazioni simili. Ma ora è ormai tardi, le zone sono troppo polarizzate.
L’uso strumentale dei media induce all’esplosione dei nazionalismi e fino a pochi mesi fa simili tensioni non erano pensabili. Non così forti almeno, non così radicalizzate e polarizzate. La questione è ormai gravissima e il contributo della comunità internazionale è stato più che altro deleterio.
Ormai troppo sangue è stato versato, è improbabile che si riesca a tornare indietro. Pare che in Donbas abbiano detto addio all’Ucraina.
Irene