“Abbiamo veramente bisogno di te, Anna!”

Come ogni anno, nel giorno dell’anniversario dell’assassinio di Anna Politkovskaja, i vincitori del premio Raw in War (Reach all Women in War) intitolato alla giornalista assassinata il 7 ottobre 2006, le scrivono una lettera. “Abbiamo veramente bisogno di te, Anna!”, sono le parole del Premio Nobel per la Letteratura 2015, Svetlana Alexievich, e dell’attivista per i diritti umani Binalakshmi Nepram.

Ecco un breve estratto tratto dall’articolo pubblicato sul sito di Novaja Gazeta:

“La strada per la libertà è lunga –  scrive Svetlana Alexievich – questa è la dura lezione che abbiamo imparato senza te. Abbiamo veramente bisogno di te, Anna! Da te abbiamo imparato che i compromessi in guerra sono impossibili, perché anche un solo piccolo compromesso rende complici. Sarebbe stato tutto più difficile per noi senza ciò che hai avuto il tempo di dire e fare. Senza la tua fede, ciò che ci salverà non sarà l’odio ma l’amore per l’umanità. Grazie per ciò che sei stata e per ciò che sei”.

“Non saremo più messi a tacere per ciò che stiamo facendo”, promette invece Binalakshmi Nepram, in lotta da anni per la libertà delle donne nel militarizzato India del Nord-Est.

Russia e fake news

Nelle settimane che precedono le elezioni in Italia (e le presidenziali in Russia) vogliamo capire se è vero che proprio hacker russi siano dietro l’ondata di disinformazione che, grazie ai social network, colpisce la politica europea (e americana).

Per capire che succede (anche a Mosca) e come funzionano i troll che inquinano il dibattito in rete, Arci Bellezza, Articolo 21 Lombardia e Annaviva organizzano un incontro con Denis Bilunov, esponente dell’opposizione russa e Alessio Lana, giornalista del Corriere, esperto di digitale.

Modera Andrea Riscassi, giornalista Rai. Introduce Maso Notarianni, Presidente Arci Bellezza.

Dopo il dibattito verrà proiettato  lo speciale “Anna Politkovskaja – Una donna armata solo della sua penna” di Silvia Pelliccioni, montaggio: Paolo Di Lorenzo. Immagini tratte dal programma RAI “La storia siamo noi” del 7 ottobre 2011 e dalle eveline trasmesse dal circuito internazionale  una produzione di San Marino RTV.

Vi aspettiamo lunedì 19 febbraio

alle ore 21 a Milano

Palestra Visconti c/o Arci Bellezza!”

Omicidio Politkovskaja, nessun mandante e un alibi politico


“Oggi, a distanza di 11 anni, possiamo dire con certezza che l’assassinio di Anna Politkovskaja è un caso irrisolto. E tale resterà domani e nei giorni a venire”. Inizia così il duro editoriale di Novaja Gazeta in occasione della ricorrenza dell’omicidio della giornalista, uccisa il 7 ottobre 2006 a Mosca, nell’androne di casa. I mandanti del delitto non sono mai stati trovati. O meglio, non sono mai stati cercati veramente.

AnnaViva vi propone qui di seguito un breve estratto delle parole scritte dalla redazione per la quale Anna raccontava gli orrori della guerra in Cecenia, senza mai aver paura di scrivere e denunciare ciò che vedeva coi propri occhi. 
Il caso resta irrisolto. “Le motivazioni non sono da attribuire alla debolezza del sistema giudiziario. Sono di tipo politico”. …

“Possiamo trarre una sola e unica conclusione: la ricerca del mandante occupa l’ultimo posto nella scala di priorità del potere russo. E ci sono persone che occupano posti strategici che ne conoscono il nome. Questo è stato chiaro sin da subito, o almeno da quando (meno di un mese dopo l’assassinio), alti funzionari di ministeri, investigatori e persino il presidente ceceno Ramzan Kadyrov si sono affrettati a dire di conoscere il nome del mandante dell’omicidio della giornalista della “Novaja”. E hanno affermato che si trattava di uno degli oligarchi che vive all’estero e che sta organizzando un piano per destabilizzare la Russia.  

Quel nome, poi, è stato fatto pubblicamente. E, inutile dirlo, non ha sorpreso nessuno. La responsabilità del delitto è stata attribuita a Berezovsky (trovato morto nel bagno della sua residenza vicino ad Ascot, Regno Unito, nel 2013. ndt)

Russia, fermate 2 Pussy Riot: chiedevano la liberazione del regista ucraino Sentsov

da repubblica.it – Maria Aliokhina era stata arrestata e condannata, e poi graziata da un’amnistia approvata dalla Duma, nel febbraio 2012 insieme a altre quattro compagne misero in scena una performance contro il capo del Cremlino nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca

 

 MOSCA – Chiedevano la liberazione del regista ucraino Oleg Sentsov, ma sono finite dietro le sbarre a loro volta. Marija Aljokhina e Olga Borisova, due donne della band Pussy Riot, sono state fermate stamattina a Jakutsk, in Siberia. E sono in attesa di comparire davanti a un tribunale per aver tenuto una manifestazione non autorizzata. Ieri avevano usato dei fumogeni rossi e blu e issato uno striscione con la scritta Free Sentsov.

Era stata la stessa Maria Aljokhina a pubblicare su Facebook foto e video protesta scrivendo: “Jacuzia, Repubblica russa di Sacha, un ponte sul Lago di Sajsar. La colonia penale numero 1, dove è detenuto Oleg Sentsov, è a venti minuti e sette chilometri e mezzo da qui. Abbiamo usato lenzuola e uno spray rosa per preparare uno striscione e lo abbiamo appeso sul ponte così che passanti e residenti potessero vederlo”. E aveva poi aggiunto: “Il caso Sentsov e Aleksandr Kolchenko è uno dei casi politici chiave e principali nella storia del nostro Paese”.
Russia, fermate 2 Pussy Riot: chiedevano la liberazione del regista ucraino Sentsov
Maria Aliokhina
Condividi

Per il regista Oleg Sentsov e l’attivista Aleksandr Kolchenko, entrambi originari della Crimea, la penisola auto-annessa alla Russia, ancor prima delle Pussy Riot si sono mobilitati Ong ed esponenti del cinema, da Pedro Almodovar a Mike Leigh e Stephen Daldry fino allo stesso Nikita Mikhalkov, vicino al Cremlino.

Sentsov e Kolchenko erano stati arrestati dai servizi speciali russi in Crimea nel maggio 2014 con l’accusa di “pianificare attacchi terroristici”. Un anno dopo un tribunale del Caucaso del Nord aveva condannato Sentsov a 20 anni di carcere in una prigione di massima sicurezza. Pena che sta scontando in Jacuzia. Kolchenko è invece stato condannato a 10 anni di carcere ed è attualmente detenuto a Kopejsk, una cittadina negli Urali. L’organizzazione russa per i diritti umani Memorial, bollata come “agente straniero” dal governo russo, ha riconosciuto entrambi come “prigionieri politici”.
Russia, fermate 2 Pussy Riot: chiedevano la liberazione del regista ucraino Sentsov
Oleg Sentsov
Condividi
Anche Marija Aljokhina ha sperimentato il carcere. Nel 2012 era stata condannata a due anni di carcere insieme a Nadja Tolokonnikova e a Ekaterina Samutsevich per essersi esibita dentro la Cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca. Era stata liberata nel dicembre 2013 in seguito a un’amnistia approvata dalla Duma.

Alla sua prigionia e a quella delle sue compagne si ispira il nuovo progetto teatrale delle Pussy Riot: uno show “immersivo” che dovrebbe andare in scena a partire da novembre a Londra. Per finanziarlo le Pussy Riot hanno lanciato una campagna su Kickstarter raccogliendo in pochi giorni oltre 52mila sterline. L’obiettivo finale è arrivare a 60mila.

Sabato a Milano, per non dimenticare #AnnaPolitkovskaja

Sono passati dieci anni dall’assassinio della giornalista russa, ammazzata con quattro colpi di pistola nell’ascensore di casa. Per la sua morte sono stati condannati gli esecutori materiali. Non però i mandanti, che forse non sono stati nemmeno cercati.
Anna Politkovskaja aveva raccontato la guerra in Cecenia, un “brutto affare” che non doveva essere svelato al mondo. L’ha raccontata con ostinazione, mentre molti suoi colleghi volgevano lo sguardo altrove, fino ad essere uccisa. Non è stata l’ultimo reporter ammazzato purtroppo, ma in questi anni è diventata il simbolo del giornalismo indipendente. E coraggioso.
Per questo vogliamo continuare a tenere accesi i riflettori su questa vicenda, perché non venga dimenticata. Per questo continuiamo a chiedere giustizia. E per questo Articolo21 e l’associazione Annaviva invitano tutti a partecipare al presidio organizzato sabato 15 ottobre alle ore 11 ai Giardini Politkovskaja di Milano (corso Como, angolo Garibaldi).

12039247_522153667934380_8783889346888277362_n

L’attrice Ottavia Piccolo farà rivivere con noi alcune delle parole più significative di Anna Politkovskaja.

Chi non ha visto con i suoi occhi un attentato non ne parli, perché non ne sa niente. Chi pensa che il sangue a terra sia rosso non ne parli, perché non sa che è marrone, quasi nero. Chi pensa che un cadavere faccia impressione, non parli, perché non sa di chi striscia a terra vivo coi suoi pezzi…” [Anna Politkovskaja]

Con noi interverranno:
Anna Del Freo, Segretario generale FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana)
Gabriele Dossena, Presidente Ordine Giornalisti Lombardia
Paolo Perucchini, Presidente Associazione Lombarda Giornalisti
Danilo De Biasio, Direttore Festival dei Diritti Umani
Andrea Riscassi, Portavoce di Articolo21 Milano e AnnaViva

Stefania Battistini (Articolo 21) leggerà l’appello delle giornaliste turche di Hayatin Sesi TV, oggetto della repressione del governo della Turchia.
Al presidio parteciperanno diverse delegazioni di studenti degli istituti milanesi con alcune riflessioni su cosa significhi per loro la libertà di stampa.

Vi aspettiamo

“Cosa proviamo oggi? Rabbia”, Novaja Gazeta in ricordo di #AnnaPolitkovskaja 

La redazione della Novaya Gazeta, il giornale di opposizione dove lavorava Anna Politkovskaja, ha pubblicato un video messaggio in cui – nel giorno del decimo anniversario dell’omicidio della collega a Mosca – chiede alle autorità russe di identificare e consegnare alla giustizia il mandante dell’assassinio.

Manca il mandante – Dopo tre processi, che hanno visto la condanna di sei uomini per l’organizzazione e l’esecuzione del crimine, non è ancora stata fatta chiarezza sulla mente dell’omicidio. Ania, come la chiamavano i colleghi e gli amici, è stata uccisa il 7 ottobre 2006 sul pianerottolo di casa a Mosca con una pistola Makarov.

Il video – Nel video in bianco e nero, diffuso su internet, il figlio Ilya Politkovsky, insieme ai componenti della Novaya Gazeta, tra cui il direttore Dmitri Muratov, sfilano senza parlare; tengono in mano dei fogli su cui si ricostruisce il caso giudiziario giudiziario e viene ricordato a più riprese che “il mandante non è stato trovato”. “Il caso è ancora aperto” cita un alto dei cartelli, che si vede nel filmato. I colleghi sostengono che il nuovo capo delle indagini “non sta facendo nulla” per completare le ricerche.


Berezovsky –  L’ormai ex portavoce del Comitato investigativo russo, Vladimir Markin, nel suo libro “I crimini più noti del XXI secolo in Russia” ha scritto che l’ordine di uccidere la giornalista potrebbe essere arrivato da Londra, dall’oligarca e nemico di Putin Boris Berezovsky, riparato in Gran Bretagna e dove è stato trovato morto nel 2013 , in circostanze ancora sospette. I membri della famiglia della Politkovskya e i suoi colleghi non ritengono plausibile questa versione. Il dito rimane puntato sul leader ceceno Ramzan Kadyrov, fortemente criticato per i suoi metodi violenti e autoritari da Ania; la reporter prima di morire stava preparando un articolo sull’uso sistematico della tortura in Cecenia. (AGI)

 

“Il sogno di Anna”, domani a Milano in ricordo di #Politkovskaja

Venerdì 7 ottobre, in occasione dei 10 anni dall’assassinio di Anna Politkovskaja, AnnaViva vi invita alla presentazione del libro di Tilde Ingrosso “Il sogno di Anna” pubblicato in questi giorni da Feltrinelli.

Tutti abbiamo un grande sogno. Ma solo l’incontro con la realtà può dargli forza e farlo diventare un progetto di vita“.

copertina_definitiva_24850

Vi aspettiamo venerdì 7 ottobre 2016 alle ore 18.30 c/o Libreria Il mio libro – Via Sannio 18 – MILANO.

Dopo la presentazione, andremo a portare un mazzo di fiori ai Giardini Politkovskaja (corso Como, Milano)

7 ottobre 2006 – 7 ottobre 2016: dieci anni senza Anna!

AnnaViva ricorda Anna Politkovskaja a 10 anni dal suo barbaro assassinio, eseguito a Mosca nel giorno del compleanno di Vladimir Putin. Era un sabato pomeriggio quando Anna fu raggiunta da cinque colpi di pistola; stava salendo nell’ascensore di casa. Stringeva ancora in mano i sacchetti della spesa.

La ricorderemo presentando il libro

“IL SOGNO DI ANNA” di Lucia Tilde Ingrosso 

venerdì 7 ottobre 2016 alle ore 18.30

c/o Libreria Il mio libro – Via Sannio 18 – MILANO

Ho scritto questo libro per trasmettere l’amore per il secondo lavoro più bello del mondo, il giornalista (il primo, per me, è lo scrittore). E per raccontare ai ragazzi una grande giornalista: Anna Politkovskaja, Minacciata, umiliata, maltrattata, derisa.

Oltre 40 volte in Cecenia, per raccontare una guerra dimenticata. All’estero era amata e corteggiata. Pubblicava libri, vinceva premi, partecipava a convegni internazionali. Poteva uscire dalla Russia, ma non farsi uscire la Russia dal cuore. Perciò, pur sapendo di essere “in scadenza” rimase e andò incontro al suo destino.” Lucia Tilde Ingrosso

Al termine della presentazione ci recheremo tutti insieme ai Giardini Politkovskaja, corso Como, Milano

T-shirt con scritta “Putin boia”: condannate mamme di Beslan

Ammende e lavori forzati, la protesta durante l’anniversario della tragedia

Russia: t-shirt con 'Putin boia', condannate mamme di BeslanElla Kesaeva, Jeanne Tsirihova, Svetlana Margieva e Emilia Bzarova, ovvero alcune delle “mamme di Beslan”, la scuola dove 12 anni fa un gruppo di terroristi ceceni prese in ostaggio 1128 persone, tra cui centinaia di bambini, sono state condannate ad ammende o lavori socialmente utili per aver indossato una maglietta con la scritta ‘Putin, boia di Beslan’ durante la cerimonia dell’anniversario della tragedia.

 

La protesta – Le donne, che hanno perso i loro cari nell’attacco del 2004, puntano il dito contro il blitz delle teste di cuoio russe, intervenute dopo tre giorni di assedio alla scuola, trasformatosi in una carneficina: 334 morti, tra cui 186 bambini, e 810 feriti.

La strage – La mattina del 1 settembre 2004, un gruppo di terroristi ceceni fece irruzione nella scuola N° 1 di Beslan. Nell’edificio erano presenti oltre 1.128 persone. I sequestratori negarono i soccorsi e l’autorizzazione a introdurre nella scuola acqua e cibo per gli ostaggi che vennero ammassati nella palestra. Il giorno seguente, i sequestratori fecero esplodere due granate, a 10 minuti di distanza l’una dall’altra, per tenere lontana la polizia. Il 3 settembre, i terroristi acconsentirono a far entrare quattro medici nell’edificio. All’improvviso si avvertirono due esplosioni, probabilmente provocate dallo scoppio “accidentale” di due ordigni. A quel punto, alcune decine di ostaggi riuscirono a fuggire, i terroristi iniziarono a sparare e le teste di cuoio fecero irruzione.  Il commando degli assalitori venne annientato dopo ore di scontri a fuoco: era composto da 32 terroristi, 31 dei quali – secondo fonti ufficiali – rimasero uccisi. Testimoni oculari parlarono però di 70 assalitori. L’unico sopravvissuto, Nur-Pashi Kulayev, è stato processato e condannato all’ergastolo. La responsabilità dell’attentato è stata rivendicata dall’ex leader dei militanti ceceni Shamil Basaev, secondo l’Fsb ucciso nel 2006 in Inguscezia.

 

 

Oggi Anna Politkovskaja avrebbe compiuto 58 anni 

 
img_0202-2Avrebbe compito 58 anni oggi Anna Politkovskaya, ma è stata con violenza strappata alla vita quando di anni ne aveva solo 48. Sì, sono già passati quasi 10 anni dal suo assassinio. E Annaviva oggi vuole ricordarla attraverso le sue parole. Per questo, vi riproponiamo un suo articolo pubblicato da Novaja Gazeta l’11 settembre 2006 e tradotto da Andrea Ferrario per Osservatorio sui Balcani. Parla dell’odio che genera odio e racconta il caso di “confusione giudiziaria” attorno a un ragazzo ceceno. Uno dei tanti condannati per terrorismo perché “nel suo sangue sono state trovate tracce di pista cecena”.

Il mondo teme una proliferazione nucleare incontrollata – io invece temo l’odio. Si sta accumulando sempre di più e in maniera incontrollabile. Il mondo è riuscito almeno a escogitare delle leve per fare fronte ai caporioni di Iraq e Corea del Nord, ma nessuno riuscirà mai a individuare le vie percorse dalla vendetta personale. Il mondo è completamente indifeso di fronte a quest’ultima. Nel nostro paese attualmente è in corso qualcosa di incredibilmente stupido e irresponsabile – centinaia di persone vengono costrette con la forza ad accumulare intere riserve di odio, che renderanno completamente imprevedibile la vita futura degli altri.

Cosa vogliamo ottenere dai ceceni in carcere per “terrorismo”? Centinaia di persone giovanissime che hanno di fronte a se pene molto lunghe da scontare. In carcere li odiano e per questo li sottopongono a “trattamenti del tutto speciali”, inventati sia dagli altri reclusi sia dall’amministrazione delle carceri.

Perché scrivo la parola “terrorismo” tra virgolette? Ve lo spiego. Chi sono questi ceceni? Per la maggior parte si tratta di ex studenti. Sono finiti nelle carceri senza nulla alle spalle, se non tre guerre. La prima si è svolta quando erano ancora bambini (la prima guerra cecena). La seconda, quando erano adolescenti (la seconda guerra cecena). La terza è l’istruttoria alla quale sono stati sottoposti. Si tratta cioè di studenti “terroristi” che sono fondamentalmente il prodotto delle procedure antigiuridiche messe in atto negli anni 2002, 2003 e 2004.

In quegli anni nel Caucaso settentrionale l’applicazione del diritto era decisamente sui generis: si effettuavano retate di massa e in Cecenia gli studenti venivano “ripuliti” a decine alla volta. Dopo la “pulizia” passavano attraverso la tortura, applicata di routine, come se si trattasse di una semplice procedure di disinfezione… Molti di loro sono stati uccisi, in particolare quelli che non si dichiaravano colpevoli. Ai “volenterosi” è stato concesso di vivere e sono stati condannati sulla base di accuse messe insieme in tutta fretta, senza preoccuparsi della qualità della documentazione reperita. Innocente? Colpevole? Solo Dio può saperlo, non sono mai state condotte vere e proprie indagini. Ed ecco che a partire dal 2005, dopo tutte le cassazioni, un’intera generazione di studenti ceceni “ripuliti” è entrata in carcere, con pene di 15 anni e oltre. E’ lì che è cominciata la loro quarta guerra. Una guerra con se stessi. O per se stessi? Forse addirittura contro…

Oggi, nel 2006, le testimonianze che giungono dalle carceri dicono che questi ex bambini modello sono ormai diventati dei recidivi incalliti. Ecco una storia del tutto tipica. Islam Suschanov, nato nel 1984. Non lo ho mai visto, ora non è più possibile incontrarlo. Il FSIN, l’amministrazione carceraria russa, vieta i contatti di qualsivoglia tipo con i reclusi della sua categoria. Ricostruirò quindi gli eventi solo in base alla documentazione disponibile. Nel 1999, alla vigilia dell’inizio della seconda guerra cecena, Islam finisce gli studi alla scuola n. 38 di Groznj. Il profilo redatto ai fini dell’iscrizione all’università da parte del direttore della scuola, D. V. Salamov, parla di un ragazzo molto bravo: “Durante gli studi Islam si è distinto come scolaro disciplinato, amante dello studio e diligente. Si è dedicato allo studio in modo responsabile. Godeva di rispetto e ha svolto con precisione i compiti assegnatigli”.

Nel 2000 Islam si è iscritto all’Istituto di Pedagogia della Cecenia, l’unico in cui erano riprese le iscrizioni dopo che le ostilità attive erano cessate. Ha cominciato a frequentare i corsi di arte. E ancora una volta: “Prende parte attivamente agli studi e alla vita pubblica della facoltà e dell’istituto… Esprime un particolare interesse per la pittura, per la composizione e per la scultura… è uno studente che ha buone prospettive…”. Lo scrive il decano della facoltà di belle arti, M. M. Sulejmanov – ma lo scrive “ex post”, rivolgendosi alla procura del distretto Lenin, quando Islam è stato “ripulito” e rinchiuso in galera. Alla procura è stata indirizzata anche una dichiarazione dell’allenatore della squadra di calcio “Vajnach”, V. L. Inderbiev: “Durante tutto il periodo in cui ha fatto parte della squadra di calcio ho potuto apprezzare la sua correttezza e la sua buona educazione. Ho viaggiato spesso in trasferta con la squadra per incontri in cui era impegnato anche Islam. Nel suo comportamento non ho mai osservato irascibilità, aggressività… è un ragazzo molto controllato, modesto, di buon carattere… non si è mai lasciato andare a discorsi estremistici, né in generale si è dimostrato incline all’estremismo”. L’allenatore e il decano mentivano? Oppure, pur essendo persone esperte, non si sono accorti che sotto la pelle di un angelo si nascondeva il diavolo?

I testi dei due profili e la sentenza di condanna sono tuttavia completamente incompatibili. Non è possibile che una persona possa essere allo stesso tempo tutto e il contrario di tutto: uno studente dalle buone prospettive, un calciatore che va regolarmente alle partite e contemporaneamente un guerrigliero che prepara agguati, fabbrica ordigni esplosivi con i quali i suoi colleghi dell’Istituto avrebbero fatto saltare in aria militari russi. Secondo le accuse che gli sono state mosse, Suschanov aveva interessi che erano ben lontani dalla scultura. Gli episodi in cui Suschanov sarebbe coinvolto sono tre – l’accusa principale è quella di fare parte di una “banda armata” diretta da un “non meglio identificato Abdul-Azim” e che agiva con “mezzi finanziari non meglio identificati”.

Tutte le accuse si basano su “ammissioni spontanee”. I giudici, da quanto si desume dalle loro argomentazioni, non hanno perso tempo per entrare nei dettagli e hanno abilmente tradotto questi episodi in sentenza di primo grado. Ed ecco cosa è successo: Suschanov ha ammesso di avere collocato il 6 giugno 2002 un ordigno esplosivo in una casa in rovina nella via Zhukovski a Groznyj, per fare saltare in aria il 9 giugno dei poliziotti in pensione, indicati con nome e cognome. In realtà, leggendo la sentenza si scopre che gli stessi giudici affermano che i poliziotti sono saltati in aria nello stesso luogo il 9 marzo di quell’anno. E il 9 giugno erano in cura, lontano dalla Cecenia, per le ferite riportate… Come spiegarselo?

Si può riscontrare la stessa confusione giuridica anche nel caso dello “scontro a fuoco presso il posto di blocco n. 10 del 3 agosto 2002”. I poliziotti feriti quel giorno – anche in questo caso indicati con nome, cognome e incarico – confermano di essere stati oggetto di fuoco di armi automatiche in data 3 agosto, e il carattere delle ferite subite corrisponde a tale testimonianza. Solo che Suschanov “confessa” di avere sparato contro il posto di blocco con un lanciagranate e non riesce a ricordarsi da quale punto ha sparato, dove si trovava il posto di blocco ecc….

Il terzo episodio riguarda gli eventi del 13 dicembre 2003. Suschanov, insieme a un paio dei membri della banda, sarebbe stato colto dalle forze dell’ordine nella via Butyrina in flagranza di reato – in quel momento il gruppo si stava occupando di sistemare un ordigno collocato lì il giorno prima, più precisamente gli stavano sostituendo le batterie. Sono stati colti sul fatto e arrestati. Entrambi i poliziotti che li hanno arrestati hanno dichiarato in tribunale che “l’ordigno è stato sequestrato nella via Butyrina il 14 dicembre”, era “vecchio, polveroso…”. La sentenza, piena di imprecisioni fattuali, è entrata in vigore. La sua “ditta produttrice” è la seguente: il giudice istruttore R. Gorcichanov (Procura del distretto Lenin di Groznyj) e il giudice V. Abubakarov (Tribunale Supremo della Cecenia). Pensate che io difenda Suschanov, “l’assassino dei nostri soldati”, come si dilettano a dire da noi? No. Il fatto è, però, che in presenza di una tale qualità giuridica delle sentenze del tribunale e delle indagini, solo Islam Suschanov può sapere con precisione cosa sia successo. Nessun altro. E io invece vorrei che lo sapessero tutti. Sono assolutamente convinta che non vi debbano essere indulgenze per nessuno che abbia violato la legge e il diritto, indipendentemente dalla salsa ideologica in cui il suo delitto viene condito.

Suschanov è stato condannato a 14 anni di regime duro. Le accuse coprono per intero quello che è il classico “elenco ceceno”: “banditismo”, “terrorismo”, “formazioni armate illegali” ecc. A partire dal dicembre 2005 si trova nelle carceri della regione di Sverdlovsk. I primi tre mesi li ha passati nell’IK-5 (Niznyj Tagil) in isolamento. Anche nelle celle vicine c’erano reclusi in isolamento – altri giovani ceceni con accuse simili. La madre, Amanta Suschanova, gli invia lettere raccomandate due volte alla settimana , ma a Suschanov non consegnano nulla. L’amministrazione non fa complimenti e gli spiegano, come poi si è rivelato vero, che per i ceceni tale regime vale fino alla fine della pena.

Il 7 marzo 2006 Suschanov cerca di suicidarsi. Il 21 maggio lo fa ancora una volta. Pregare è vietato, lo scrive nel manuale della disciplina per i reclusi in isolamento. “L’Amministrazione degli istituti di pena dà una valutazione negativa del recluso Suschanov I. R.”, scrive nel suo profilo il capo della sezione della procura della regione di Sverdlovsk, A. V. Vasilev, in merito alla supervisione dell’adempimento legale delle pene comminate. “Ha 12 sanzioni disciplinari in atto. Le motivazioni delle misure richieste dalla procura sono legali e fondate…”. Suschanov continua a ribellarsi, prende parte a una “denuncia” collettiva: episodi di autolesionismo contro le condizioni di reclusione. Per quelli che riescono così a “emergere” dall’anonimato arriva T. Merzljakova, delegata ai diritti umani della regione di Sverdlovsk. Si incontra tra gli altri con Suschanov, il quale le dice che chiede solo un riesame della sentenza ingiusta e il permesso di pregare. Dopo la visita Merzljakova scrive una lettera disperata alle madri dei reclusi ceceni con i quali ha parlato: insiste affinché “si affrettino” a presentare allo FSIN la loro richiesta di trasferire i figli in un’altra prigione più vicina alla Cecenia. Si rivolge lei stessa a J. Kalinin, direttore dello FSIN… Kalinin oppone un rifiuto. E Suschanov viene trasferito all’IK-12, un carcere per i recidivi più pericolosi. Un tale accanimento è vietato dalla legge, se si tiene presente il significato originale della sigla IK, cioè istituto correttivo. Ma in questo periodo il dossier personale di Suschanov è pieno zeppo di frasi come “incline all’evasione”, “incline alla presa di ostaggi”…

Il ragazzo “timido, modesto e di buon carattere”, come veniva dipinto nel 2004, nel 2006 si è trasformato in un recidivo ribelle, se si deve credere a tutte queste descrizioni. Cosa vogliamo da Suschanov? Da tutti questi “ripuliti”? Che muoiano nelle prigioni? Perché gli viene vietato di pregare? Perché dimentichino le preghiere che hanno imparato fin da bambini e comincino a recitarne di nuove?…

Se Suschanov vedrà mai la libertà, ciò avverrà nel 2017, quando avrà 34 anni. Gli altri “ripuliti” della stessa generazione allora avranno un’età simile, tra i 35 e i 37 anni. Torneranno nella società non sposati, senza figli. Senza un’istruzione. Senza una professione. Ma con uno spirito ribollente: la vita è andata persa e non c’è giustizia. “… In sostanza, questi istituti correttivi si sono trasformati in campi di concentramento per i reclusi ceceni – hanno scritto alla redazione le madri di un gruppo di carcerati – vengono sottoposti a una discriminazione su base nazionale. Non li lasciano uscire dalle celle di isolamento. Li spingono a violare il regime disciplinare, impedendo loro di rispettarlo. Sono stati quasi tutti condannati con processi farsa, in cui mancavano le prove. Si trovano in condizioni tremende, vengono sottoposti a umiliazioni della dignità umana, si sta sviluppando in loro un odio contro tutto. Secondo noi non si tratta di correzione, ma di sterminio… E’ un intero esercito, che tornerà da noi con una vita rovinata, con concezioni rovinate…”. Conoscono bene ciò di cui stanno scrivendo, lo conoscono solo loro, le madri, che ora parlano con i loro figli solo con l’anima. Ho paura dell’odio accumulato da questi ragazzi. E ho ancora più paura di coloro che con la violenza costringono dei loro simili ad accumulare un tale odio. Ho paura, perché questo odio prima o poi uscirà dagli argini.