Preghiera per Cernobyl di Svetlana Aleksievic, premio nobel per la letteratura 2015

Annaviva vuole ricordare Svetlana Aleksievič, premio nobel per la letteratura 2015, con la recensione di uno dei libri dell’autrice, Preghiera per Černobyl. Testo di Alessandro Vitale:

Premio nobel per la letteratura Swetlana AlexijewitschSvetlana Aleksievič, Preghiera per Černobyl’. Edizioni e/o, Roma, 2007, (trad. it.: Sergio Rapetti), pagg. 351; € 8,50.
Proporre in questa rubrica la recensione di un libro come Černobyl’skaja molitva, ristampato cinque anni or sono in traduzione italiana, ma uscito in russo addirittura nel 1998, potrebbe sembrare privo di senso. La realtà è che a distanza di quindici anni questo straordinario libro (ampliato nel 2001) continua a essere attuale e a urlare nel silenzio. Nonostante la commozione che suscitò alla sua uscita e i premi conferiti alla scrittrice, le sue pagine sono rimaste circondate da un imbarazzato silenzio: quello che dura nei confronti delle popolazioni investite in pieno dal disastro della centrale atomica di Černobyl’ del 1986, il più spaventoso del Novecento.

Sono soprattutto cittadini della Bielorussia (priva di centrali nucleari, ma che ha subito il 70% della ricaduta radioattiva), un Paese europeo dalla popolazione pacifica e legata alla terra da un’atavica fiducia, ma dalla storia tragica, devastato da invasioni e dalle violente guerre totali del Novecento, confinato oggi nell’area grigia degli “extracomunitari”, piagato da pesanti permanenze sovietiche e dall’“ultima dittatura” d’Europa, della quale si preferisce non parlare.

L’Autrice, nata nel 1948 in Ucraina da padre bielorusso e vissuta nelle terre paterne, è una delle più grandi giornaliste e scrittrici contemporanee. Nel 1983 fu censurata, accusata di dissidenza e dal regime minacciata di espulsione dal giornalismo; solo nel corso della Perestrojka fu riconosciuta nella sua grandezza, ma con l’uscita di Ragazzi di zinco (1989), sulla «Criminale guerra in Afghanistan, tenuta celata per dieci anni al proprio popolo», fu nuovamente diffamata dal Partito e dalle forze armate e poi processata per aver infangato “l’eroismo dei combattenti internazionalisti”.

Questo libro invece scaturisce da un viaggio di tre anni nel mondo devastato dal disastro nucleare, nel quale la Aleksievič raccoglie testimonianze di persone molto differenti fra loro, interiormente piagate, sconvolte, circondate da terre e acque radioattive, con un destino avvelenato dalle conseguenze della stupidità di tecnici-servi e di politici irresponsabili, descritta nel libro nella terribile accusa di Vasilij Nesterenko, ex Direttore dell’Istituto di energetica nucleare dell’Accademia delle Scienze della Bielorussia, che collega le disastrose conseguenze della tragedia alle caratteristiche stesse del sistema politico.

Un romanzo sulla tragedia di Černobyl

Dai capitoli di questo “romanzo di voci” scritto dall’Autrice, che si vede come una testimone in mezzo agli altri, con una partecipazione umana e un’empatia straordinarie, delle quali solo i grandi giornalisti e scrittori sono capaci (come Ryszard Kapuściński o Ettore Mo – che osservò sul posto la tragedia nucleare di Semipalatinsk – per intenderci), emerge un universo sconvolgente e straziante, che a ogni passo stringe un nodo in gola e induce alle lacrime. È un romanzo-verità basato su fatti, denso di confessioni, testimonianze, incubi della vita quotidiana – diurna o notturna non fa differenza – di chi è rimasto a vivere in un Paese devastato dall’orrore e a ricordare i propri cari scomparsi per gli effetti delle radiazioni: il dimenticato “popolo di Černobyl”, un “popolo a parte”, in quell’angolo di pianeta nel quale, ormai proiettato verso un futuro di paure e di convivenza con la morte, che non conoscevamo nelle epoche precedenti, molto più terribili di una guerra con nemici visibili e localizzabili, si soffre e si continuerà a morire per generazioni.

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